Fate fatica ad insegnare una secondo lingua a vostro figlio? Non ditelo a Roberta, mamma di due gemelli Gabriele e Nicholas, che parla con i propri figli in inglese sin dalla loro nascita! Anzi...da quando erano ancora nella pancia! Ormai da 5 anni affronta questa sfida "al quadrato". Perché i tempi e le modalità dei due piccoli sono completamente differenti. Ma lei non si arrende. Ed ecco i risultati (fra alti e bassi): Leggi la prima parte del racconto di Roberta qui:
“Quindi, dicevamo, due gemelli, esposti all'inglese dalla nascita esattamente nello stesso modo, stessa famiglia, stessi input, stesse esperienze di vita reale in inglese ma …due approcci, tempi, modalità, output totalmente diversi! Gabriele, vispo, giocherellone, creativo, iperattivo, solare, che vuole sempre stare al centro della scena ha iniziato a parlare intorno ai due anni usando un po’ a caso parole di una lingua o dell’altra, senza grande attenzione a come diceva le cose ma “buttando lì” quello che gli veniva in mente. Poi col tempo ha affinato il linguaggio e ora distingue bene i contesti e i codici linguistici da usare. Quando vuole fare “lo sciocchino” ed attirare l’attenzione gioca con le lingue mischiandole di proposito ed ostentando l’invenzione di parole nuove (che non hanno alcun senso). Dopo alcuni anni di soggiorni in Irlanda dove per loro, data l’età (dai 16 mesi ai due anni e mezzo) era stata tutta esposizione passiva alla lingua all'età di tre anni e mezzo siamo partiti con grandi aspettative da parte mia …ma Gabriele una volta arrivati in Irlanda si è messo ad ostentare il suo italiano. Non vi dico il mio ego quanto ne ha risentito perché stava aspettando di misurarlo sul campo e godere dei risultati ottenuti. Per fortuna Mr. Ego ha dovuto attendere solo un paio di giorni che Gabriele smettesse di giocare a fare il diverso per farsi notare e comunicare davvero usando il suo inglese. Mamma felice! Al rientro in Italia dopo quasi tre settimane il suo inglese era più che mai consolidato e stiamo andando avanti come dei treni! Nicholas, vivace, giocherellone ma prudente e riflessivo, attento e preciso in quello che fa, soffre se le cose che fa non sono fatte bene, è stato in entrambe le lingue un parlatore tardivo. Solo all'età di tre anni e quattro mesi ha preso il coraggio di mettere insieme frasi di senso compiuto in entrambe le lingue, e da subito senza mischiare e con delle costruzioni e vocabolario che io ho imparato forse alle scuole medie. Non si voleva “buttare” prima perché voleva essere sicuro di quello che faceva, come d’altronde è nel suo carattere. Oggi parla davvero bene, se gli manca un vocabolo si ferma e mi chiede (invece di inventarselo come il fratello), e distingue nettamente gli ambiti in cui si parlano le diverse lingue, tanto da fermarmi se parlo in inglese in un contesto non idoneo. Quindi con lui la sfida oggi è di creargli degli ambienti o dei luoghi/momenti (e qui il metodo Place and Time mi sta venendo comodo) in cui la lingua “ufficiale” sia l’inglese. A maggior ragione ora che stiamo cogliendo una nuova sfida, che è quella di introdurre anche lo spagnolo, dovrò creare degli spazi nelle nostre routine appositamente per quello. Ma sono talmente carica dall’esperienza con l’inglese che lo spagnolo (in cui io dovrò rispolverare delle basi scolastiche e imparare con loro) sarà un bel divertimento! Questa esperienza mi ha fatto capire più che mai quanto i bambini non siano “standardizzabili”, ognuno ha i suoi tempi, le sue modalità, le sue emozioni che spingono o frenano un processo in corso. Se noi genitori per primi entriamo in ansia se non rispettano i tempi standard, o se non si esprimono come ci aspettiamo …certo non li aiutiamo a prendere coraggio e fiducia in sé stessi. Fiducia, ecco…! Credo che la parola chiave sia proprio fiducia! Questo articolo è stato scritto per My English Day
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